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LANGHE - ROERO - RICETTIVITÀ & INFORMAZIONI mercoledì 4 dicembre
 

 

 

 

In viaggio nelle Langhe
Sempre valido questo articolo che incontra alcuni rappresentativi vitivinicoltori langaroli - tra i tanti di queste colline - per cercare di comprendere l’anima di questi grandi vini
Fonte: Euposìa - Articolo di Fabio Piccoli

Su questi bricchi è nato il concetto di cru, in queste vigne si è capito cosa è il terroir: qui sono nati il Barolo e la vitivinicoltura di qualità, grazie a produttori, grandi e piccoli, tradizionali o innovativi di Fabio Piccoli

Ho camminato le vigne del Barolo, le vigne di ciascuna delle sue terre: Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano, Grinzane Cavour, La Morra, Monforte, Novello, Roddi, Serralunga e Verduno (le dò in ordine alfabetico e non di merito), sorpreso ad ogni passo, dal mutare, oltre che del paesaggio, dell’atmosfera”. Abbiamo ripreso le parole di Luigi Veronelli, il più noto giornalista enogastronomico italiano recentemente scomparso, per iniziare questo nostro breve racconto sulle Langhe, stralciandole dalla prefazione di uno dei più bei libri scritti sul Barolo e sulle Langhe: Barolo, personaggi e mito, di Maurizio Rosso, un volume divinamente fotografato da Chris Meier (edizioni Omega Arte). Non amiamo troppo gli eccessi di suggestione quando si parla di vino e di terre del vino. Siamo, infatti, convinti che il miglior modo per scrivere di questo straordinario prodotto e dei territori che lo vedono protagonista sia quello di mediare con equilibrio la concretezza con la poesia, la tecnica con l’arte, l’economia con la storia. Ma, ammettiamolo, scrivere delle Langhe inevitabilmente spinge a pensare prima con il cuore e poi, successivamente, con la testa. Diffi cile fare diversamente dal momento che le Langhe rappresentano non una delle tante mete del vino, ma la “meta”. Inutile negarlo, è nelle terre del Barolo e del Barbaresco che è nata la vitivinicoltura di qualità nel nostro Paese. È qui che, quasi contemporaneamente alla Francia, sono nati i concetti di cru, il comprendere che la vigna e il terroir sono i veri responsabili della qualità del vino.

La tradizione contadina
Convinti che il miglior modo per raccontare un territorio del vino sia quello di raccogliere le testimonianze di chi ci vive e ci lavora, il nostro viaggio è partito dalle parole di Gigi Rosso dell’omonima Cantina di Castiglione Falletto (Cuneo). Gigi Rosso è un uomo apparentemente austero, poco incline alla comunicazione. Un perfetto esempio di uomo di Langa, dove la concretezza sicuramente viene preferita all’immagine. Eppure, dopo un po’ che parla della storia di queste terre, Rosso si anima, si appassiona, a fatica si ferma. È come se nel vino, e soprattutto nella terra che vivono con tale simbiosi, trovi quell’entusiasmo, quella passione e, soprattutto, la forza di comunicare e di esprimersi. Ma Gigi Rosso è soprattutto una delle anime storiche di Langa, di quella civiltà contadina che è riuscita ad “emanciparsi da un empirismo secolare per diventare professionista della qualità in vigna e in cantina”. “Non è stato un percorso facile -spiega Rosso- e per arrivare ai risultati di oggi è stato fondamentale il contributo dato dalla Scuola enologica di Alba fondata nel 1881, solo due anni dopo quella di Conegliano”. Rosso è stato tra i pochi giovani che, negli anni ’50, invece di scendere nelle fabbriche di Torino è risalito nelle vigne di Langa. “Ma non considero questa scelta particolarmente coraggiosa -racconta- in quanto quegli anni, grazie anche alla crescita tumultuosa dell’economia che consentiva ottimi risultati pur con pochi capitali, sono stati ben più facili di quelli attuali con maggiori diffi coltà nel trovare fi nanziamenti e una competizione spietata”.
Gli incontri chiave di Gigi Rosso sono stati quelli con il grande enologo Renato Ratti (“un vulcano, uno che avrebbe avuto successo in qualsiasi campo avesse operato”), e con Arturo Bersano, che segnerà profondamente il suo destino di imprenditore del vino (“uno dei primi a credere al Barolo insieme a Beppe Colla della Prunotto”). Con Ratti, Rosso si lancia nell’avventura Barolo. “Consigliai a Ratti, che mi disse che voleva investire un po’ di risparmi, di produrre Barolo. Glielo dissi un po’ scherzando e invece lui rispose subito di sì, ma dal momento che non aveva molto tempo da dedicare dovevo essere io a farglielo. E’ così che cominciammo a comprare uve di nebbiolo da Barolo che vinifi cammo nella Cantina di Bruno Giacosa a Neive. Ratti fu soprattutto il primo a capire che il Barolo andava collocato in una fascia alta di mercato. Non a caso il suo primo Barolo, prodotto negli anni ’60 nella sua Cantina Abbazia dell’Annunziata, uscì al prezzo astronomico, per allora, di ben 1.000 lire a bottiglia, il doppio degli altri”. È nel 1971 che Gigi Rosso decide di fare il grande passo e inizia a vinifi care per la prima volta le sue uve. Oggi la sua è una delle aziende più affermate di Langa e Rosso non vuol sentir parlare di crisi del vino: ”In giro sento lamentele ingiustifi cate. Non si poteva pensare ad una crescita continua senza nessuna pausa: siamo semplicemente alla normalità. Per quanto mi riguarda è da quattro anni che non tocco i listini dei miei vini: è importante per essere credibili ed avere la fiducia del mercato”. Sulla questione tradizionalisti innovatori nel mondo del Barolo, Rosso ha le idee chiare:”Non credo -spiega- che il successo del Barolo sia stato nell’utilizzo della barrique, nell’ammorbidirlo. Non ho mai creduto a questo tipo di semplificazioni. Penso che il successo risieda nella capacità di diversificarsi. Il che non significa non evolversi. Io ho scelto la barrique solo per il Barbera. Fino ad oggi il mercato mi ha dato ragione: Forse è tempo di uscire dalla sterile polemica innovatori-tradizionalisti”. In azienda oggi lavorano anche i figli di Gigi Rosso, Maurizio e Claudio. Un esempio straordinario di azienda famigliare dove tutti trovano una collocazione in perfetta sintonia con le proprie vocazioni. Assieme a loro abbiamo avuto la fortuna di partecipare ad un’esperienza che non ci era mai capitata prima: una verticale dei Barolo Gigi Rosso dal 1982 al 1998. Un’emozione difficile da descrivere, non solo e non tanto per la qualità dei vini, ma per avere avuto la possibilità di toccare con mano la sua evoluzione, le sue mutazioni sia in termini di stile che di carattere. ”I buoni vini da noi non mancano certo. Mancano, semmai, in taluno o talvolta, la serenità e la fiducia per soffermarsi a goderli. È il regalo che più vorrei farvi, se ne avessi la possibilità”. Una possibilità che chi sceglie di viaggiar per vigne e cantine può cogliere.

Il piacere dei particolari
Riprendiamo il nostro viaggio IN VIAGGIO NELLE LANGHE comprendere che la vigna e il terroir sono i veri responsabili della qualità del vino. La tradizione contadina. Convinti che il miglior modo per raccontare un territorio del vino sia quello di raccogliere le testimonianze di chi ci vive e ci lavora, il nostro viaggio è partito dalle parole di Gigi Rosso dell’omonima Cantina di Castiglione Falletto (Cuneo). Gigi Rosso è un uomo apparentemente austero, poco incline alla comunicazione. Un perfetto esempio di uomo di Langa, dove la concretezza sicuramente viene preferita all’immagine. Eppure, dopo un po’ che parla della storia di queste terre, Rosso si anima, si appassiona, a fatica si ferma. È come se nel vino, e soprattutto nella terra che vivono con tale simbiosi, trovi quell’entusiasmo, quella passione e, soprattutto, la forza di comunicare e di esprimersi. Ma Gigi Rosso è soprattutto una delle anime storiche di Langa, di quella civiltà contadina che è riuscita ad “emanciparsi da un empirismo secolare per diventare professionista della qualità in vigna e in cantina”. “Non è stato un percorso facile -spiega Rosso- e per arrivare ai risultati di oggi è stato fondamentale il contributo dato dalla Scuola enologica di Alba fondata nel 1881, solo due anni dopo quella di Conegliano”. Rosso è stato salendo a La Morra.
Il nostro riferimento per arrivare all’azienda Cordero di Montezemolo è l’imponente, meraviglioso cedro del Libano visibile quasi da tutti i paesi delle Langhe. “È stato piantato nel 1856 dai Falletti -spiega Giovanni Cordero che con il fratello Enrico conduce l’azienda- la famiglia dalla quale discendiamo”. I Cordero di Montezemolo sono, infatti, proprietari dal 1920 della vasta tenuta Monfalletto, in territorio Annunziata di La Morra, appartenuta ai Falletti di Barolo sin dal Medioevo. “Come famiglia -racconta Gianni Corderodiscendiamo da Pietrino Falletti, costruttore del Castello di Serralunga d’Alba, e pertanto la proprietà, ne siamo particolarmente orgogliosi, è sempre rimasta in famiglia. Fu mia nonna Luigia Falletti -spiega Cordero- ad iniziare l’attività di commercializzazione del vino, anche se fu poi mio padre Paolo ad avviare in tutta la sua operatività l’azienda nel 1940”. La Cordero di Montezemolo rappresenta il punto migliore per gustare dall’alto la bellezza dei bricchi di Langa; tutti i vigneti -26 ettari- sono in un corpo unico con l’unica eccezione della vigna Enrico IV, situata a Castiglione Falletto. Questa azienda è un ottimo esempio di come coniugare la tradizione all’innovazione. “Attualmente -spiega Gianni Cordero- adottiamo fermentazioni brevi che fino a non molto tempo fa sarebbero state inimmaginabili per la produzione di Barolo. Se oggi nostro padre fosse vivo probabilmente direbbe che stiamo sbagliando tutto, ma le evoluzioni tecnologiche offrono delle opportunità che garantiscono una qualità straordinaria valorizzando ancor più le grandi potenzialità di un’uva come il nebbiolo. Alla fi ne, quindi, il Barolo affi nato in botti nuove, per 15-18 mesi come cerchiamo di fare, risulta migliore e viene apprezzato dal mercato”. L’azienda produce oggi diversi tipi di Barolo. Il Barolo Monfalletto è tradizionalmente più morbido, vellutato e fragrante nei profumi, mentre il Barolo Enrico IV è più corposo e pieno. Con l’annata ’97 è nato anche il Barolo Bricco Gattera, un cru ottenuto da un ettaro di terreno sottostante il mitico cedro del Libano. Dal millesimo ’98 è nata anche la prima versione di Barolo Riserva, il Barolo Gorette, dalla vigna omonima, prodotto in serie limitata (1.000 magnum). “Siamo convinti -sottolinea Cordero- che il successo dei vini passi inevitabilmente dalla cura e dall’attenzione minuziosa al vigneto. Questo significa poi non dover stravolgere il prodotto in cantina con risultati che non sono mai suffi cienti”. Negli ultimi anni la Cordero di Montezemolo si è dotata anche di uno straordinario centro di divulgazione della cultura del vino e proprio nei mesi scorsi si sono conclusi i lavori che hanno portato alla costruzione, sopra alla cantina, di una sala di degustazione con una terrazzaveranda chiusa da pannelli di vetro dalla quale si può gustare, ascoltando e degustando vino, anche il suggestivo paesaggio di Langa.

Il coraggio della sperimentazione
Il fattore umano rimane, a parer nostro, un elemento chiave nel successo del vino. Dietro a grandi vini vi sono spesso uomini particolari, con passioni forti, che hanno scelto un lavoro diffi cile anche se gratifi cante. Con questo pensiero abbiamo proseguito il nostro viaggio in Langa andando a trovare uno dei più noti personaggi di questa terra. Un produttore che non ha mai esitato a schierarsi anche contro i numerosi luoghi comuni che affollano il mondo del vino: Elio Altare.
Altare può essere definito il capofila di un gruppo di piccoli produttori che con coraggio e tenacia hanno intrapreso una ventina di anni fa la strada dell’innovazione e del cambiamento. “A vent’anni - ricorda- facevo il bovaro. Figuratevi, quindi, se oggi mi spavento di fronte a certe difficoltà di mercato. Qualcuno si è sicuramente fatto prendere la testa da questa crescita vertiginosa. A volte è meglio un’evoluzione più lenta, che occupi almeno due generazioni, perché il rischio è che qualcuno ci arrivi impreparato. Se non sai convivere con la terra, la terra non perdona”. Non è certo il caso di Altare, un uomo al quale è sempre piaciuto rischiare e sperimentare. “Mi ha salvato la curiosità, il desiderio irrefrenabile di conoscere e imparare, e con questo spirito a 29 anni ho preso la mia vecchia Fiat 128 e me ne sono andato in Francia. Volevo capire come mai loro erano riusciti a produrre vini di grande successo mentre noi, negli anni ‘60 e ’70, ancora non avevamo capito quale strada imboccare. Io dormivo nella mia 128, mentre il mio collega francese Philippe Enzal all’epoca aveva già la Porsche e la barca a vela a Cannes con soli 5 ettari di vigneto”. Altare torna a casa con la testa piena di progetti che lo portano inevitabilmente allo scontro con il padre. “Sono stato diseredato e solo ora capisco che me l’ero anche cercato. Avevo una tale voglia di rompere con il passato per cercare di valorizzare una terra che ero convinto potesse dare frutti straordinari, che non ho mai provato a mediare. Mi rendo conto di non essere un uomo dalle mezze misure, ma oggi che papà non c’è più ho fatto pace con lui e questo mi dà serenità”. Altare non ha mezze misure nemmeno nel suo stile di produzione. “Ho realizzato il mio sogno, produrre e vinificare le mie uve nel rispetto delle regole dell’ambiente. Faccio un uso limitatissimo della chimica, ma non per questo mi considero un produttore biologico, anche perché credo che tutti si debba essere difensori della propria terra dall’aggressione chimica. Non può essere né la legge né lo Stato a determinare una cultura che deve essere insita in noi”. Al centro delle polemiche tra innovatori e tradizionalisti del Barolo, Elio Altare è stato accusato di avere innovato troppo con fermentazioni eccessivamente brevi “anche di soli due giorni”. “Mi dicevano - racconta- che con fermentazioni così brevi i vini non potevano reggere nel tempo. Oggi posso dimostrare cosa sono dopo vent’anni quei vini: semplicemente perfetti. Io considero molto più presuntuoso chi vuole fare un vino senza pensare a cosa vuole il consumatore. Per me un grande vino deve essere godibile fin da subito. E’ fondamentale che gli allievi superino i maestri”.

Il vino e l’arte
A San Cassiano, sopra Alba, c’è un’altra azienda storica delle Langhe, la Ceretto, forse l’esempio più interessante in Italia di una realtà vitivinicola che è riuscita a coniugare la produzione di ottimi vini con una serie di attività culturali non sempre legate al vino. Basti pensare alla Cappella del Barolo e al Cubo, due straordinari regali della Ceretto al paesaggio delle Langhe. “Siamo la quarta generazione impegnata in azienda -racconta Bruno Ceretto che ne è alla guida assieme al fratello Marcello- e da oltre 50 anni predichiamo nel mondo il verbo di Langa. Non a caso esportiamo in oltre 70 Paesi. Ma vorrei ricordare che la Langa è anche Roero”. A questo proposito va sottolineato come la Ceretto sia l’azienda che più delle altre ha fatto conoscere l’Arneis nel mondo (il 15 per cento di tutto l’Arneis viene prodotto dalla Ceretto): il famoso Blangé, infatti, è l’Arneis più consumato in assoluto. Ma all’orizzonte della Ceretto vi è anche l’apertura di uno straordinario ristorante ad Alba, nella suggestiva Piazza Duomo, nel cuore della città. Lo visitiamo con i lavori ancora in corso, ma già con un entusiasmo che fa apparire i potenziali commensali seduti ai tavoli… “L’idea originaria -spiega Ceretto- è stata quella di aprire un prototipo di ristorazione con due proposte differenti all’interno della medesima struttura: la Piola, legata alla più classica tradizione di cucina e vini di Langa e Roero, a sottolineare il legame con questo fl orido territorio, e il Ristorante, più internazionale e con proposte che lascino libertà espressiva all’estro di Enrico Crippa, considerato uno dei più promettenti e talentuosi chef italiani”. Anche in questo caso i Ceretto non hanno lesinato nell’investire risorse e idee avvalendosi di professionisti di altissimo livello. Basti pensare che il restauro del palazzo del 1600 dove sta nascendo il ristorante è stato affi dato ad architetti americani ed italiani di primissimo piano del calibro di Bill Katz e Steven Sheiler, coadiuvati da Luca e Marina Deabate; un progettista francese per le cucine, Jean Bertaud della Matinox, e Marilena Bonino per gli arredi. Ma non è finita qui, perché l’arte entra anche nel ristorante. Proprio in questi giorni Francesco Clemente, tra gli artisti italiani più famosi nel mondo, sta affrescando la volta del ristorante. E anche per i piatti è stata fatta una scelta alquanto innovativa: rappresentano infatti opere, realizzate appositamente, da artisti internazionali (Robert Indiana, James Brown e Donald Beacheler) presenti anche con alcune opere nella Piola (i piatti sono numerati da 1 a 100 e potranno anche essere acquistati). E ad ulteriore dimostrazione degli investimenti culturali della Ceretto, va sottolineato come, praticamente ogni mese, l’azienda organizzi incontri con artisti, scrittori, poeti, giornalisti di primissimo piano (Sepulveda, Mieli, Servergnini, tanto per citarne alcuni) nel cuore delle Langhe.

LA CAPPELLA E IL CUBO
Nel 1976, acquistando 6 ettari di vigneto nelle Brunate, uno dei tre più famosi e importanti cru del Barolo, la Ceretto ha acquisito Ss. Madonna delle Grazie, una piccola cappella mai consacrata. L’incontro tra l’azienda e l’artista inglese, David Tremlett, giunto nella Langhe nel 1997, grande appassionato di vino, ha fatto scattare la scintilla, davanti ai resti abbandonati della chiesetta. All’artista è piaciuta subito l’idea di recuperarla, pensando anche al coinvolgimento dell’amico Sol LeWitt. I due artisti si sono divisi equamente i compiti: a Tremlett le decorazioni interne, mentre a LeWitt l’intervento all’esterno. Il risultato è straordinario ed è incredibile come, nonostante la vivacità dei colori, quest’opera s’ integri perfettamente con il paesaggio delle Langhe. A dimostrazione che a volte i contrasti uniscono. Situato sulla sommità del Bricco Rocche in Castiglione Falletto, appare all’improvviso girando per le strade delle Langhe: è una struttura di vetro, storta e irregolare, che si fa fatica a comprendere. E’ il Cubo, un’opera d’arte, voluta sempre dai Ceretto, altamente tecnologica, posta alla base di un capolavoro della natura, il Barolo Bricco Rocche. L’uso del vetro senza intelaiatura, in modo che non ostacoli la visuale, valorizza il paesaggio che lo circonda a 360°. La scelta progettuale si è rivolta ad una architettura-paesaggio che, nella sua totale trasparenza, si propone come una scultura, un’opera d’arte unica, in un ambiente irripetibile: un monumento al Barolo e al suo territorio di produzione.

Richiamo alle radici
Ormai, fortunatamente, non è più una notizia o una felice rarità: le donne del vino, imprenditrici che impegnano risorse umane e capitali nel settore vitivinicolo, sono sempre più numerose. Non fa eccezione un territorio storico per il vino come le Langhe. Con questa constatazione siamo risaliti a La Morra per incontrare Luisa Marcarini Bava che, assieme alla madre Anna e al marito Manuel Marchetti, è titolare dell’azienda Marcarini. Per Luisa Marcarini la Langa è stata una sorta di viaggio di ritorno dopo che con il marito si era trasferita in Spagna. “Una sorta di richiamo alle radici della mia famiglia -spiega- di voglia di ritornare a casa, nell’azienda che era stata di mio nonno e che poi mia mamma aveva portato avanti. La nostra prima vendemmia è stata quella del 1990 e oggi possiamo dire di avere raggiunto risultati che non immaginavamo, anche su mercati diffi cili come quello francese che, incredibile ma vero, rappresenta il nostro più importante mercato in Europa”. L’azienda Marcarini, caratterizzata da 16 ettari di vigneto, possiede anche un vigneto in uno dei cru più prestigiosi delle Langhe, Brunate. “Si tratta di un vigneto già conosciuto nel 1300 e sicuramente uno dei più vecchi di La Morra. Qui nasce il Barolo Brunate, austero ed elegante come tutti i grandi Barolo”. Lo stile scelto dalla Marcarini si potrebbe defi nire più tradizionale: ”Abbiamo macerazioni lunghe che dal nostro punto di vista sono ideali per la produzione di Barolo di qualità. Non è vero che si ottengono vini più tannici, anzi, si privilegia così l’eleganza ed una equilibrata morbidezza”. Anche l’azienda Marcarini è impegnata sul fronte della solidarietà. Produce un vino, infatti, denominato Donald, dal nome del fi glio di amici scomparso prematuramente. Si tratta di un vino frutto di un assemblaggio di più varietà come barbera (60 per cento), nebbiolo e shiraz. Gli introiti ottenuti con le vendite vengono devoluti totalmente ad iniziative di solidarietà. Inoltre, l’azienda è proprietaria anche di un ottimo agriturismo in quel di Neviglie (Cuneo), in località Tinella (tel. 0173.630004, agriturismo@marca rini.it) realizzato in una classica casa padronale dei primi del 1800.

L’orgoglio di Langa
“Siamo orgogliosi di essere nati a Barolo e di vivere in un ambiente così bello e suggestivo. E di questa fortuna dobbiamo essere consapevoli, come di avere un vino che è inimitabile, perché il nebbiolo è un’uva che non è mai uguale a se stessa e in ambienti e territori diversi dà risultati differenti”. Esordisce così Ernesto Abbona, proprietario di Marchesi di Barolo, marchio storico delle Langhe al quale con la moglie Anna dedica tutto il suo impegno e la sua passione. “Il Barolo è un vino importante e ricco da condividere con gioia, più che da esibire. È indubbiamente un vino moderno al centro di un grande cambiamento con l’introduzione della barrique, vissuta da alcuni in maniera antagonista e da altri come un’evoluzione. È un vino che nasce da una lunga tradizione e questo rende più arduo cambiarne la percezione dei sapori”. Ma, infi ne, c’è una crisi nelle vendite di Barolo? “È un vino che vive in un contesto economico, quindi qualche rallentamento c’è stato. Ma le aziende l’hanno subito in maniera diversa a seconda della politica dei prezzi che hanno adottato e che spesso ha visto aumenti più legati all’ambizione dei produttori che all’effettiva qualità del prodotto. O il prodotto ha qualità intrinseche che valgono di per sé, oppure è giusto che il prezzo scenda. Aziende come la nostra -sottolinea Ernesto Abbona vivono alti e bassi, ma il Barolo mantiene il suo peso nelle nostre vendite. In generale, è un vino che non ha più sviluppo nei consumi, mentre è aumentata la produzione complessiva, perché diversi imprenditori venuti da altre zone hanno investito capitali provenienti da altri settori e hanno comprato vigneti pagandoli cifre che razionalmente noi riteniamo esagerate. Dopo 8-10 anni questi vini arrivano sul mercato che però fa fatica ad assorbirli: facile, quindi, spaventarsi, quando le bottiglie custodite in cantina aumentano di anno in anno...” Oggi quello del Barolo è un mercato non ampio, ma molto più competitivo di qualche ano fa: “Comunque, questa crisi è sentita meno dalle aziende tradizionali che un mercato ce l’hanno e che viene di anno in anno confermato; è più una crisi delle aspettative di vendita dei nuovi imprenditori che credevano di trovare uno spazio per i loro vini. Indubbiamente, l’eccesso di euforia che abbiamo vissuto negli anni passati ha portato ad un aumento produttivo con l’illusione che il mercato potesse accettarlo: ora le aspettative sono andate deluse, ma non è una crisi reale dei consumi, è ovvio che producendo il doppio sia poi diffi cile vendere il doppio, ma chi è sul mercato da tempo continua a fare il lavoro di sempre”. La Marchesi di Barolo ha attualmente 40 ettari di vigneto di proprietà tutti intorno a Barolo, ma acquista anche le uve a Monforte, a Castiglione Falletto, a Neive: “Siamo convinti -spiega Abbona- che la proprietà del vigneto debba essere lasciata al contadino che vi abita. I viticoltori hanno interesse a mantenere la proprietà integra anno dopo anno in modo costante ed hanno interesse a produrre l’uva migliore: hanno scelto di fare questo lavoro e lo fanno al meglio…” Oggi l’azienda produce intorno al milione e seicentomila bottiglia, salvo in annate metereologicamente sfortunate quando la produzione scende al milione e centomila bottiglie. Esporta il 50 per cento di tutta la produzione, un po’ meno di quanto di norma avviene: “Ma noi crediamo molto nel mercato italiano e crediamo che si debba essere forti in casa, perché chi viene su queste colline e assaggia questo vino se poi non lo trova a Roma resta deluso: un prodotto deve essere radicato nel suo territorio. E stiamo lavorando bene anche nel Sud Italia, dove abbiamo creato un mercato interessante che in questo momento ci sta supportando più di altri: il Meridione è una realtà in forte crescita, sempre più indirizzata verso vini di qualità”.

 

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